UN PROBLEMA ALLA RADICE... GLI IRRIDUCIBILI
Il "prolasso discale" è il titolo del nuovo testo da me pubblicato, il cui contenuto ha fatto probabilmente discutere.
Il presente articolo è invece il tentativo di spiegare come sono giunto alla stesura di questo elaborato scritto, che analizza il trattamento di quella nuova entità patologica che titola il libro stesso.
Il prolasso è, per definizione, la patologia caratterizzata dal conflitto tra disco e radice nervosa. Questa compressione determina la presenza di quei sintomi radicolari che da sempre affascinano schiere di operatori del settore.


In ambito riabilitativo chi si occupa di terapia manuale non può esimersi dal fare riferimento al grande caposaldo della fisioterapia internazionale Robin McKenzie, senza il quale non saremmo mai giunti alle tecniche attuali. Proprio grazie alle sue intuizioni oggi è forse possibile un avanzamento in campo fisioterapico.
Questo libro nasce dal proposito di compensare le tecniche già conosciute con una nuova metodica studiata e venuta alla luce grazie ad un lungo percorso di analisi effettuata su pazienti che necessitavano di risolvere determinate patologie discali.
Tutto ciò è stato reso possibile grazie a due incontri in particolare: quello con il Dott. A. Bazzan, neurochirurgo della clinica di Borgo Trento Verona, che con estrema fiducia per primo mi affidò pazienti affetti da patologie spinali; il secondo, non meno indispensabile per le mie considerazioni successive, con la fisioterapista e docente internazionale Paula Van Wjimen, cui devo tutte le mie conoscenze nel campo della valutazione meccanica e le cui risposte alle mie domande incalzanti sulle irriducibilità [1] di certi danni discali mi fecero comprendere per la prima volta la necessità di un rimodellamento [2] dei tessuti.
La successiva collaborazione con i neurochirurghi delle cliniche di Verona mi ha permesso di scoprire l’esistenza di alcuni tipi di danno discale dalla difficile interpretazione, trattamento e conseguente risoluzione.
All’interno di questi dischi esisteva “qualcosa” che cambiava e che ne impediva la riduzione [3]. Per poter dare una valida spiegazione a tutto questo, in accordo con il Dott.

Rappresentazione del dolore radicolare segmentario originato dal coinvolgimento della radice spinale

1. Irriducibilità: impossibilità di riposizionare il materiale nucleare all’interno dell’anulus per la mancanza del meccanismo idrostatico.

2. Rimodellamento: intervento fisioterapico che modifica l’orientamento delle lamelle anulari finalizzato al recupero dell’integrità anatomica del disco interevertebrale.

3. Riduzione: spostamento del materiale nucleare all’interno dell’anulus finalizzato a ripristinare le condizioni anatomiche originarie del disco.

Bazzan, i pazienti che non rispondevano al trattamento di riduzione del danno discale venivano sottoposti ad intervento chirurgico, come descritto nel n. 9 – 2001 della Rivista “Riabilitazione Oggi”, intitolato “Indicazione al trattamento chirurgico; ruolo della diagnosi meccanica e terapia” (B. Faulisi). In questo articolo veniva riportato come la maggior parte dei dischi operati non evidenziassero una vera e propria ernia discale con rottura dell’anulus, ma si trattasse piuttosto di ernie contenute, di dischi integri deformati che tuttavia non rispondevano ai trattamenti meccanici di riduzione.
Proprio a questo punto sorse il dubbio che esistesse un sottogruppo di danni discali per la cui risoluzione si rendeva necessario un trattamento differente.
Quasi mi paventava allora l’idea di dare un nome a questo fenomeno (da me successivamente chiamato “prolasso”) ed allo stesso modo si faceva forte l’esigenza di capire come un disco prolassasse e che cosa cambiasse in un disco che, non possedendo più le caratteristiche idrostatiche, non consentiva la riduzione del danno.
Di qui la lunga ricerca bibliografica che mi ha permesso di comprendere il meccanismo del danno discale ed in particolare come le lamelle di un disco prolassavano sotto la spinta del nucleo (mi riferisco con questo fenomeno al prolasso nucleare) e come invece il disco potesse prolassare direttamente per degenerazione mixomatosa (prolasso anulare).



Tali scoperte derivano anche dal fatto che i casi sottoposti alla mia attenzione erano quelli di pazienti gravi che, pur non avendo indicazioni cliniche per intervento, presentavano caratteristiche di irriducibilità.
Si faceva quindi strada la necessità di dover “inventare” un sistema per trattare i dischi irriducibili. L’utilizzo di strategie di movimento, cui più tardi darò il nome di rimodellamento, permettevano di ottenere i risultati desiderati in termini di recupero del danno discale. Tuttavia, ancora non si spiegava il risultato ottenuto, o meglio, il motivo di tale risultato. Per fare ciò si doveva esaminare il substrato anatomico del tessuto danneggiato. In altre parole, il miglioramento della sintomatologia sciatalgica dei pazienti avveniva senza l’apparente modifica della forma del disco. I test di stiramento della radice nervosa e della membrana durale che riproducevano il sintomo (slump, srl, fis) rimanevano invariati; quindi molto probabilmente stavamo agendo sull’irritazione della radice nervosa.


A questo punto delle mie constatazioni sentivo forte l’esigenza di verificare le caratteristiche dell’irritabilità della radice nervosa sottoposta a compressione meccanica.
Proprio gli articoli degli autori da cui ho preso spunto mi hanno aperto gli occhi sulla concreta possibilità di ridurre l’irritazione e l’entità del danno attraverso l’impiego di particolari posizioni assumibili dai pazienti, denominate poi “vie di fuga”, ovvero posizioni del non-dolore.


Una volta ottenuta la non-irritabilità di radice, diventava conseguentemente possibile ripristinare la forma originaria del disco attraverso l’introduzione di movimenti ampi ad effetto rimodellante.
Riassumendo quindi, quando si lavora su pazienti con questo nuovo sistema, ci si accorge di operare non sul prolasso, bensì sull’irritazione del nervo. Soltanto dopo aver indagato su di esso ne possiamo comprendere le caratteristiche e solo in quel momento sarà possibile lavorare sul prolasso.
Sono arrivato a tali conclusioni grazie all’esperienza clinica fatta, essendo stato quotidianamente a contatto con numerosi pazienti che non potevano essere curati con le tecniche sino ad allora conosciute. La loro sintomatologia era infatti da contatto disco-radicolare, che si manifestava in presenza di dischi irriducibili perché privi di meccanismi idrostatici.


Non si trattava più, pertanto, di una protrusione [4], ma di una nuova entità patologica, poi diventata il titolo di un libro.
Oggi queste nuove metodiche fisioterapiche possono costituire un valido aiuto ed uno strumento ulteriore ed efficace nella cura di pazienti affetti da gravi patologie discali.
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